Siamo abituati a pensare al raschiamento uterino come ad un passaggio essenzialmente legato all’aborto, spontaneo o volontario. In realtà questa procedura chirurgica invasiva è comunemente impiegata per una serie più numerosa di intenti, tra cui la diagnosi e il trattamento di condizioni ginecologiche, nonché la gestione di complicazioni legate alla gravidanza come appunto l’aborto. Qualunque sia il contesto, è importante per la paziente che si sottopone a questo intervento conoscerne e comprenderne tutti gli aspetti, dalla procedura stessa ai potenziali rischi e benefici associati. Ecco cosa occorre sapere e a chi rivolgersi.
Raschiamento uterino, cos’è
Quando si parla di raschiamento uterino si fa riferimento ad una procedura chirurgica che ha lo scopo di asportare una parte o tutto del rivestimento dell’utero, in caso di anomalie di varia origine o causa. Solitamente, viene effettuato per rimuovere frammenti di endometrio o eventuali masse anomale presenti all’interno della cavità uterina. Il termine medico per definire questa procedura è D & C, ovvero Dilatazione e Curettage, tecnica chirurgica consistente nella dilatazione della cervice uterina e dall’inserimento di uno strumento noto come “curette”, in grado di asportare, quasi “raschiando”, il tessuto non idoneo o in eccesso. Tuttavia, comunemente oggi i raschiamenti vengono effettuati anche tramite aspirazione, non necessariamente con una curette. Questa procedura può essere utilizzata per diagnosticare e trattate una serie di patologie ginecologiche, come le anomalie del tessuto uterino, l’aborto incompleto e il sanguinamento uterino anormale.
Raschiamento uterino diagnostico ed operativo
Esistono due tipi principali di raschiamento uterino: quello diagnostico e quello operativo.
- Il raschiamento diagnostico viene eseguito principalmente per ottenere campioni di tessuto per analisi di laboratorio, come nel caso di sospetta iperplasia endometriale, tumore dell’endometrio o altre anomalie.
- Il raschiamento operativo, d’altra parte, viene eseguito per scopi terapeutici, come la rimozione di tessuto uterino anomalo o l’eliminazione di residui dopo un aborto spontaneo. Talvolta questo materiale biologico può essere utile anche per una diagnosi, ad esempio in caso di aborti spontanei ricorrenti: può aiutare a comprendere se esistono anomali genetiche particolari.
Raschiamento uterino dopo aborto spontaneo, in quali casi è necessario?
Dopo un aborto spontaneo, il raschiamento uterino può essere indispensabile quando fisiologicamente la donna non espelle completamente i tessuti gravidici. I residui-se non asportati- possono provocare sanguinamenti eccessivi e aumentare il rischio di infezioni. Il medico può consigliare un raschiamento uterino dopo un aborto spontaneo se ci sono segni di aborto incompleto o se persistono sanguinamenti anormali. Se si perde il bambino in una fase molto precoce, questa procedura è raramente necessaria.
Raschiamento uterino: in cosa consiste
Il raschiamento uterino è solitamente eseguito in ospedale o in ambulatorio chirurgico sotto anestesia generale, locale o in sedazione, a seconda delle preferenze del paziente e delle indicazioni mediche. Durante la procedura, il medico inizia inserendo uno speculum nella vagina per dilatare il collo uterino. Da qui si interviene con gli strumenti chirurgici per rimuovere il tessuto in eccesso o anomalo. Il tutto può richiedere solo pochi minuti o più tempo, a seconda della complessità del caso e dello scopo. Dopo l’intervento la maggior parte delle donne rimane in osservazione per le successive 24-36 ore. Tuttavia, il tempo di recupero è generalmente breve e le manifestazioni dolorose successive sono ridotte. Spesso in una settimana si può tornare alla propria vita di sempre.
Raschiamento uterino, rischi e complicanze
Come ogni intervento chirurgico, anche il raschiamento uterino può comportare rischi e complicanze:
- infezioni uterine
- sanguinamenti eccessivi
- perforazione dell’utero
- danni ai tessuti circostanti
- reazioni avverse all’anestesia
- formazione di cicatrici uterine.
Tali rischi sono rari se ci si affida ad un professionista esperto. Comunque è sempre importante discutere attentamente con il proprio medico i rischi specifici associati al raschiamento uterino e valutare i potenziali benefici rispetto alle potenziali complicanze.
Raschiamento uterino e fertilità: cosa occorre sapere
Dopo un raschiamento uterino, molte donne si preoccupano dell’effetto sulla loro fertilità: questo intervento, in assenza di specifiche complicanze, non influisce sulla capacità di concepire. Il primo flusso mestruale dopo aver effettuato tale procedura si ha dopo circa un mese e mezzo, in caso di aborto spontaneo, ovvero a 28-30 giorni dall’azzeramento dei valori delle beta hCG, l’ormone della gravidanza che cessa del tutto la sua produzione dopo circa 15-20 giorni dal raschiamento. I medici consigliano di attendere almeno due cicli mestruali dopo l’intervento prima di tentare una gravidanza, in modo che l’ovulazione possa ritornare alla piena normalità ed il corpo possa guarire totalmente senza subire altri stress. In caso di aborti ricorrenti lo specialista potrebbe consigliare test genetici sul tessuto fetale rimosso durante il raschiamento per identificare eventuali anomalie cromosomiche che potrebbero influenzare le future gravidanze. Discutere con il proprio medico le preoccupazioni specifiche sulla fertilità è essenziale per ottenere informazioni personalizzate e rassicurazioni.