È importante che la paziente sia adeguatamente informata, fin dal momento della diagnosi, sul rischio che i trattamenti compromettano la capacità riproduttiva, sulla durata di quest’effetto e sulla possibilità che sia permanente, sul tempo d’insorgenza del problema. Solo ricevendo informazioni corrette e tempestive può compiere scelte adeguate per preservare la fertilità.
I medici – in primo luogo l’oncologo, il ginecologo e il chirurgo – hanno un ruolo fondamentale perché devono informare sul possibile danno per la fertilità e sulle strategie più indicate per preservarla. Il ginecologo, in particolare, dovrebbe sempre fornire indicazioni in tal senso nei tumori con buone prospettive di guarigione, e quanto meno valutare questa possibilità negli altri casi, perché ciò può avere un effetto positivo sulla risposta alle terapie antitumorali o almeno sul piano psicologico. È importante consultare il ginecologo al più presto per avere il tempo per avere informazioni ed eventualmente decidere di attuare le tecniche di preservazione della fertilità!
Non meno importante è il ruolo svolto dallo psicologo, che non solo aiuta la paziente a esprimere il proprio bisogno di ricevere informazioni, a comprendere ed elaborare le informazioni ricevute e a contenere le angosce per una scelta consapevole della maternità, ma si fa anche portavoce dei suoi bisogni presso l’équipe medica al fine di favorire una relazione di cura che tenga conto dei vari aspetti della persona, riconoscendo il legittimo desiderio di pensare ad un progetto genitoriale dopo la guarigione.
Quando la fertilità non può essere preservata
La donna vive l’infertilità come un vero e proprio ‘lutto’, e cade in una profonda crisi esistenziale non solo a livello individuale, ma anche nella relazione di coppia e nei rapporti sociali. Ciò si esprime attraverso sentimenti di rabbia, risentimento e angoscia; sfiducia nel futuro; sensi di colpa verso il partner e timore di perderlo; rimpianti per le scelte di vita precedenti; difficoltà nei rapporti intimi dovute al venire meno della funzione riproduttiva; disagio nelle relazioni con le coppie con figli; imbarazzo e tristezza a rispondere a domande riguardanti il futuro familiare.
Attraverso il sostegno di uno psicologo la donna può gestire questi stati d’animo, affrontandoli sia individualmente che in coppia. Il sostegno psicologico aiuta la coppia a elaborare i vissuti di perdita e il ‘tradimento’ degli ideali e dei progetti futuri, attivando le risorse necessarie per accettare anche una vita senza figli, e per impegnarsi quindi nella costruzione di altri progetti attraverso cui poter esprimere anche il proprio altruismo e la voglia di donare agli altri. Lo psicologo può, inoltre, aiutare la coppia a una scelta consapevole dell’adozione che restituisce la possibilità di essere genitori anche senza generare un figlio.
Quando la fertilità può essere preservata
La gravidanza rappresenta un importante passaggio evolutivo che implica cambiamenti significativi a livello personale, di coppia e familiare. Dopo una malattia così fisicamente e psicologicamente devastante come un tumore, la scelta della maternità può essere ancora più difficile per via delle paure e timori che può generare, ma al tempo stesso può rappresentare un modo per riappropriarsi della propria progettualità. Se aiutata a superare la crisi, la donna ha la possibilità di vedere la malattia come un momento di crescita, in cui avere un figlio non è un modo per verificare che il proprio corpo ‘funzioni’ normalmente, ma rappresenta la possibilità di esprimere la funzione di accogliere, proteggere e prendersi cura di un bambino, insita nell’essere genitori.
Per questo motivo, il sostegno di uno psicologo può essere molto importante prima, durante e dopo la gravidanza: prima per favorire una scelta consapevole e condivisa nell’ambito della coppia; durante per rassicurare la coppia nelle situazioni difficili, attivando le risorse interne dei partner, che in questo modo possono elaborare nuove strategie finalizzate alla gestione delle difficoltà; dopo la nascita del bambino per favorire una buona relazione madre-bambino, così determinante per la formazione dell’identità del piccolo.